lunedì 12 aprile 2010

I 7 elementi alla base del Digital Storytelling



Joe Lambert e Dana Atchley, fondatori del Center of Digital Storytelling (CDS) a Barkley, in California, hanno individuato 7 elementi alla base di ogni Digital Storytelling.

Il primo è il punto di vista: tutte le storie dovrebbero essere personali e autentiche e mantenere in ogni sua parte la prospettiva dell’autore, esprimendo le sue intenzioni e i suoi obiettivi.

In secondo luogo è necessaria una “dramatic question”. Bisogna esporre qualcosa che valga la pena di essere raccontato e proporre all’inizio della storia domande non banali e sorprendenti a cui si darà risposta alla fine del racconto.

Inoltre una storia deve, come già detto, possedere contenuti emotivi coinvolgenti. Ciò è strettamente legato alla scelta di raccontare la storia con il proprio punto di vista, scegliendo di commentare i momenti salienti della narrazione, utilizzando una particolare colonna sonora.

Il quarto elemento è, infatti, l’uso della propria voce. Spesso i soggetti hanno la tendenza ad utilizzare solo immagini e musica, ma l’effetto è sicuramente meno coinvolgente. Allo stesso modo è molto importante la colonna sonora. Essa segue e supporta la storia e va ad anticipare quello che accadrà.

Il sesto elemento è il riferimento all’economia della narrazione che richiama ad una “pulizia” degli elementi utilizzati e a non usare una sovrabbondanza di immagini e parole.

Infine, è necessario un ritmo adeguato alle modalità narrative della storia: è legato all’economia e a quanto velocemente o lentamente prosegue la storia. La vitalità è elemento fondamentale per una buona storia.

mercoledì 7 ottobre 2009

Il Digital Storytelling

Il Digital Storytelling è una pratica che nasce nei primi anni ’90, contemporaneamente alla diffusione di strumenti multimediali a costi accessibili e alla diffusione di Internet, e che utilizza strumenti basati sul computer per raccontare storie.
In modo semplicistico può essere definito come un metodo per combinare una narrazione personale con elementi multimediali, per produrre un piccolo filmato.
Esistono diverse definizioni di Digital Storytelling, ma tutte ruotano intorno all’idea di combinare elementi digitali multimediali, come immagini, audio e video, con l’arte del raccontare storie (storytelling) creando una forma di ri-mediazione di quest’ultima.
Ciò che lo distingue dalla banale pratica di unire insieme materiali multimediali è la sua tendenza ad assumere una forma narrativa, con forti connotazioni emotive, e l’intento di condividerlo con altri tramite la rete.
Le cosiddette “story tales” possono quindi essere definite come «blended telling stories with digital technology» (Ohler, 2007) che uniscono abilità nel narrare con le potenzialità tecnologiche.
Queste digital tales possono avere lunghezza variabile, ma solitamente sono comprese tra i 2 e i 5 minuti, arrivando ad un massimo di 10 minuti.
Per poter creare questo tipo di storie, ai soggetti viene richiesto di acquisire un insieme di competenze tecniche, comunicative, riflessive e di scoperta del Sé apparentemente semplici, ma in realtà non banali, che richiedono una adeguata formazione.
E'necessario che i soggetti sappiano riconoscere e gestire il modello narrativo orale/visuale, posseggano abilità di lettura e scrittura e utilizzare e interpretare nel modo adeguato i media, aprendosi alla partecipazione comunitaria.
Ciò che è importante è inoltre saper coinvolgere le persone ad un livello personale e emozionale e non solo concettuale.È necessario quindi saper calibrare le due componenti, razionale ed emotiva.

martedì 6 ottobre 2009

L’evoluzione della narrazione: dall’oralità alle nuove tecnologie


Il primo passo per l’analisi dell’evoluzione narrativa avvenuta nel corso della storia è andare a spiegare come è avvenuto il passaggio tra oralità e scrittura. È importante, a tal proposito, citare il lavoro compiuto dall’americano Walter J. Ong (1986). Egli distingue tra due tipi di culture: quelle a “oralità primaria” e quelle basate sulla scrittura. L’oralità, è una caratteristica intrinseca e stabile del linguaggio a differenza della scrittura che può essere vista come una vera e propria tecnologia.. Le culture a “oralità primaria”, non possedendo nessun supporto scritto, sono estremamente vincolate dai limiti della memorizzazione.. Grazie all’introduzione della scrittura, invece, vengono superati la variabilità e la non permanenza dell’oralità e nascono le cosiddette culture chirografiche (Bara, 2003). La scrittura può essere vista come l’evento di maggior importanza nella storia delle invenzioni tecnologiche dell'uomo: «Senza la scrittura un individuo alfabetizzato non saprebbe e non potrebbe pensare nel modo in cui lo fa» (Ong, 1986). E con la scoperta della stampa nasce il primo vero mezzo di massa per la trasmissione delle conoscenze. Ma nel mondo contemporaneo che cosa succede? Ong parla di “oralità secondaria” (o di ritorno) per indicare il ritorno dell’importanza dell’oralità con la diffusione dei media, quali la radio, la televisione e, in ultimo, il computer. Si torna ad un mondo orale mediato, però, dall’esperienza alfabetica e dalla scrittura. La nuova oralità presenta somiglianze con la vecchia, ma, allo stesso tempo, si differenzia da essa in quanto raggiunge un più vasto pubblico e genera un senso di appartenenza a gruppi molto ampi. In questo processo di ri-mediazione la scrittura sembra acquisire, quindi, alcune caratteristiche dell’oralità; dall’altra parte, però, anche le tecnologie stesse hanno rivalutato l’importanza della scrittura come veicolo preferenziale per la trasmissione dei contenuti.

mercoledì 30 settembre 2009

La narrazione: l'apporto di Bruner

Il più importante autore che si è interessato allo studio delle narrazioni è stato sicuramente Bruner (1990, 1996). Nel corso dei suoi studi egli è giunto a definire quelle che ritiene essere le caratteristiche fondanti del testo narrativo.
Oltre che di sequenzialità l’autore parla di
opacità referenziale. L’idea di base è che la storia non debba essere necessariamente vera, ma verosimile e che non si debba tenere conto nell’analisi della sua coerenza e credibilità della corrispondenza tra ciò che è raccontato e la realtà.
Inoltre i racconti sono guidati dal principio dell’
intenzionalità: i personaggi sono sempre descritti nelle loro dimensioni psichiche e manifestano atteggiamenti, opinioni e intenzioni. Per questo motivo per la comprensione delle storie è richiesta la capacità di cogliere gli stati mentali altrui.
La narrazione, poi, prevede sempre la
rottura della canonicità a causa di eventi inattesi e una serie di sforzi per ripristinare l’originale stabilità.
Infine una storia non può essere “priva di voce”, ma porta sempre con sé la prospettiva del narratore.
Ciò che caratterizza la narrazione, inoltre, è la dialettica che si crea tra due piani fondamentali: quello della realtà o mondo esterno, e quello della coscienza o mondo interno.
Bruner (1990) parla di due diversi scenari: lo
scenario dell’azione e quello della coscienza. Mentre il primo riguarda ciò che accade e a chi,lo scenario della coscienza riguarda ciò che i personaggi e il narratore pensano, provano, percepiscono.

sabato 26 settembre 2009

La narrazione: tentativo di definizione

Uno dei temi teorici fondamentali alla base del progetto che verrà presentato è sicuramente la narrazione.
Senza avere la pretesa di inserire in questo blog tutto ciò che c’è da sapere sulla narrazione cercherò in breve di riassumerne le caratteristiche principali
Essa svolge delle funzioni fondamentali per la vita degli esseri umani, favorendo il perpetuarsi della cultura e riflettendo il mondo interiore dei soggetti.
Nel bambino, in particolare, essa ha un ruolo prioritario per lo sviluppo di tutti i suoi aspetti cognitivi, affettivi, sociali e soprattutto è presente in modo pervasivo nella sua vita.
Per giungere ad una definizione esaustiva e chiara del concetto di narrazione è indispensabile prendere in considerazione diversi aspetti.
Per prima cosa una narrazione è individuata da una storia (una sequenza di eventi, legati da rapporti temporali e logici) e da un narratore che la racconta.
La narrazione è vista come un’organizzazione temporale di eventi. Riprendendo gli studi di Stein e Glenn (1979) si può dire che tutte le narrazioni presentano una comune “grammatica”, un’organizzazione temporale simile che prevede diverse categorie legate tra loro da nessi temporali e causali. Il racconto scaturirebbe così da un evento iniziale (cambiamento nella situazione) che farebbe nascere nel protagonista una risposta interna, a livello emotivo e cognitivo. A questo punto il soggetto metterebbe in atto tentativi, cioè azioni concrete per raggiungere il suo scopo, i quali porterebbero a conseguenze, positive o negative in relazione al raggiungimento o meno dell’obiettivo, e ad una reazione emotiva del protagonista, formulata in termini di pensieri ed emozioni.


lunedì 14 settembre 2009

Di cosa si tratta?


Lo strumento presentato e descritto in questo blog nasce come progetto di tesi di una laurea Triennale in Psicologia e, in particolare, in Psicologia della Comunicazione.
L’obiettivo è stato quello di creare un nuovo metodo di Digital Storytelling per bambini e unire tra loro i temi della tecnologia e della narrazione, fornendo ai piccoli un mezzo alternativo e originale per la creazione di storie a gruppi con l’utilizzo delle nuove tecnologie.
L’idea di sviluppare questo tipo di progetto parte dalla volontà di unire il personale interesse per l’infanzia ai temi della Psicologia della comunicazione. Essa nasce da una serie di riflessioni circa la società contemporanea in cui i bambini si trovano a vivere e la conseguente necessità di fornire loro nuove competenze per potersi districare in essa.
L’intenzione è quella di proporre un metodo innovativo che integri la pratica narrativa con le possibilità offerte dal mondo digitale e che fornisca ai bambini la possibilità di creare storie in modo originale e acquisire nuove competenze.